A differenza di qualche anno fa, il mercato del lavoro oggi risulta più dinamico ma allo stesso tempo più lento: i giovani hanno accesso al mondo del lavoro sicuramente molto più tardi rispetto ai loro nonni e quasi certamente il loro primo lavoro non ha nulla a che fare con le materie per le quali risultano preparati; allo stesso tempo risulta dinamico, perché i contratti a tempo indeterminato sono una rarità, mentre quelli a progetto la fanno da padroni.

Il lavoratore moderno è un ragazzo/a sulla trentina che tarda a costruirsi una famiglia, in favore di una ricerca della stabilità economica ambita come il vello d’oro e che, in attesa del quale, si barcamena fra un call center ed un altro per tirare a fine mese. E chi ha perso il lavoro durante la grande crisi ma aveva già un’età più avanzata? Operai specializzati, non più di primo pelo, capaci come pochi, vere eccellenze della nostra manodopera, sono stati falciati via da una crisi economica partita dalle banche americane che ha fatto davvero paura: I manager sono terrorizzati dall’idea di ampliare organici sicuramente più di quanta ne hanno nel delocalizzare le produzioni.

Ricordiamo l’analfabetismo post seconda guerra mondiale, combattuto persino dal grandissimo Mike Bongiorno in televisione, che descriveva una realtà di abbandono scolastico innumerevole, in favore di produzioni minorili che iniziavano a sbocciare; oggi abbiamo gente laureata, magari a pieni voti e nei tempi giusti, che per lavorare deve espatriare e ringraziare Paesi esteri di qualsiasi continente perché vengano accolti con le dovute cordialità: ingegneri di tutte le tipologie, architetti, ecc., che cercano in altri Stati ciò che qui, specialmente nel territorio del sud Italia, sembra incomprensibile ed irrealizzabile.

Si spera che le nuove politiche relative al lavoro, qualunque natura esse abbiano, siano votate a rendere il mercato del lavoro adattabile sia alle esigenze di chi il lavoro lo fornisce ed in Italia, per fortuna, abbiamo ancora esempi di aziende che, in barba ad I costi sostenuti, utilizzano meritocrazia, amore per il Paese e rispetto per chi lavora per loro come criteri fondamentali; sia a chi il lavoro lo cerca ardentemente, lo sostiene, crede negli obiettivi aziendali e personali.

Il mercato del lavoro è cambiato da come gli anziani lo ricordano; le generazioni più giovani, non avendo avuto il confronto, si adattano a ciò che trovano. Ma, a prescindere da giovani “busy” oppure no, tutti vorrebbero lavorare per ciò che hanno studiato, mettendo in pratica le conoscenze garantite da un sistema scolastico ancora fra i migliori al mondo che è quello dell’università italiana.

Confidiamo nel fatto che il modello cinese, comprensivo di sfruttamento anche minorile, non sia l’unica via per una concorrenza al livello mondiale e che venga riconosciuta da tutti I continenti interessati l’eccellenza italiana, sia relativa a materie prime ed elaborate, sia al livello capacità di management e manodopera. Speriamo che ci siano incentivi per assunzioni più durature, che garantiscano ai più meritevoli il proprio sviluppo sociale ed economico così duramente guadagnato.

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